Peter Gabriel, live nostalgico di un genio indiscutibile

Il ritorno di Peter Gabriel in Italia arriva con un disco nuovo (dopo venti anni) e un tour affascinante (dopo nove), ma chi lo segue da anni gli perdona anche le lunghe assenze

Peter Gabriel è sempre e comunque un evento. Soprattutto in Italia, il primo paese che probabilmente ha intuito la grandezza sua e dei Genesis quando la band ancora faticava a imporsi sulla scena internazionale nei primi anni ’70.

In Italia Gabriel ha tenuto alcuni dei suoi concerti più grandiosi. E sempre in Italia, e certo non per caso, ha deciso di registrare i suoi show. A Modena, quando realizzò il meraviglioso spettacolo legato a Us, e a Milano quando digitalizzò una edizione memorabile del tour di Growing Up.

Dicasi genio…

Peter Gabriel è un uomo complesso, con tempi terribilmente dilatati. Non ha mai avuto il senso commerciale di imporre dischi con costanza. Pubblicava quando aveva qualcosa da dire. Disgraziatamente con un senso del perfezionismo maniacale che lo portava a esagerare nel concepimento e nella gestazione di album di grandezza straordinaria.

Nel frattempo magari si dedicava a colonne sonore, progetti futuribili di parchi giochi spaziali, battaglie sociali e produzione di artisti sconosciuti. Ha costruito uno degli studi di registrazione tecnologicamente più avanzati di sempre.

Pensava in digitale quando il mondo balbettava ancora in analogico. Peter Gabriel è uno dei pochi artisti per cui la parola ‘genio’ non è un abuso.

Peter Gabriel in Italia

Il suo arrivo in Italia, a Verona e a Milano per la presentazione del suo nuovo album I/O non può non essere un evento. E ci si ritrova tutti invecchiati e appesantiti a seguire con lo sguardo sognante quello che sarà in grado di riproporre. Un concerto che non ha tradito le aspettative. Anche se Gabriel non è più quello che passeggia in bicicletta, cammina a testa in giù, scompare tra cupole e palle rotolanti o si tuffa a corpo morto sulle teste del parterre.

A 73 anni è un po’ appesantito e invecchiato anche lui. Ma basta chiudere gli occhi e la sua voce è proprio quella di quarant’anni fa.

Lo show paga un lungo tributo al nuovo disco, ben 12 le canzoni inserite in scaletta. Alcune delle quali davvero straordinarie, su tutte Panopticom e This is Home. Altre le ascoltiamo per la prima volta perché non ne ha ancora pubblicate. Perché prendendosi i suoi tempi il genio ha deciso di centellinarle, una per ogni luna piena.

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Peter Ganriel 73 anni, 35 dei quali come solista dopo i Genesis – Credit ANSA (VelvetMusic)

Band e scaletta

Gabriel, senza proclami né tediosi discorsi, parla di ambiente e di clima, di libertà e di equità sociale, di amore individuale e universale. Ogni sua canzone è un manifesto. Tre ore di concerto nelle quali i greatest hits sono ben distribuiti e purtroppo inclusi solo in minima parte. Ma quello che c’è… beh… è indimenticabile.

Deliziosa Don’t Give Up con la voce di Ayanna Witter-Johnson, perfetta In Your Eyes, una delle più belle canzoni d’amore mai scritte. Festosa Sledgehammer, piacevole concessione pop in una scaletta estremamente intensa e molto ragionata.

La band è stratosferica, perfettamente sospesa tra elettronico e orchestrale con archi e fiati e la solita mostruosa colonna vertebrale costituita da Manu Katchè (batteria), David Rhodes (chitarra) e Tony Levin (basso). Peso e anni scompaiono nel patto tra artista e pubblico. Indissolubile.

Un rito indimenticabile

In un crescendo che impone una seconda parte estremamente dinamica, su un palco meno spettacolare del solito ma molto più umano, Gabriel non lascia niente al caso. Ma senza autocelebrazioni e con molta umiltà. Il pubblico italiano rivive un finale di concerto che come quelli di una trentina di anni fa, riporta a Biko, la canzone scritta nel 1977 per ricordare l’attivista sudafricano anti-apartheid assassinato nel 1977, quando di apartheid non parlava nessuno. E come allora Peter Gabriel chiude con un tocco da maestro.

Lasciando la scena per primo, seguito a uno a uno dai tutti i suoi musicisti che abbandonano gli strumenti e si infilano dietro le quinte. La batteria smette di suonare per ultima, lasciando la scena al pubblico, pugno chiuso in alto a condurre il coro finale.

Lo sappiamo, non rende l’idea. Non la renderà mai. Un concerto di Peter Gabriel non si può descrivere né raccontare. Troppo riduttivo. E se non l’avete mai visto… colpa vostra.

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