Mondo Marcio: “Nella musica di oggi c’è spesso poca sostanza” [ESCLUSIVA + VIDEO]

Velvet Music ha incontrato Mondo Marcio in occasione della tappa romana del suo instore tour alla Discoteca Laziale per presentare l’ultimo album La Freschezza del Marcio. Gian Marco ha parlato del significato di questo disco, delle collaborazioni, del mondo rap e hip hop in generale e del tour (trovate il video in fondo all’articolo).

È uscito venerdì 11 marzo La Freschezza del Marcio, il settimo album di Mondo Marcio (dopo quello omonimo del 2004, Solo un uomo del 2006, Generazione X del 2007, Animale in gabbia del 2010, Cose dell’altro mondo del 2012 e Nella bocca della tigre del 2014) pensato, concepito, suonato e prodotto tra Milano, Londra, New York e Los Angeles. Sedici tracce in cui appaiono una valanga di colleghi: Ghemon, Fabri Fibra, J-Ax, Gemitaiz, Clementino, Bassi Maestro e tanti altri.

Questo è il tuo settimo disco in tredici anni. Dagli inizi ad oggi quanto sei cambiato?
Penso di essere cambiato molto, anche se il modo di fare musica non è cambiato. Penso che fisiologicamente, come tutti, ho cercato di crescere. Gli unici che non sono davvero onesti sono quelli che rimangono o almeno fanno finta di rimanere sempre gli stessi. Uno che cerca di fare sempre di più, sempre meglio, poi alla fine cambia. Mi sono evoluto in qualche modo. Quello che non è cambiato è il modo di proporre la mia musica, le mie idee. Le canzoni sono come delle diapositive musicali che metto negli album. Quindici anni fa, quando ho iniziato, la diapositiva era quella di un teenager molto arrabbiato per una serie di motivi anche abbastanza validi e tutti questi motivi uscivano fuori. Oggi è la stessa cosa. Il rap per me è uno strumento di espressione più che un genere musicale e tutte queste fotografie che faccio in chiave musicale finiscono nei miei dischi. Ci sono le gioie, le insicurezze, le paure, i successi di un giovane uomo di 30 anni che cerca di lasciare la sua firma nel mondo di oggi.

E cosa vuoi comunicarci oggi?
La Freschezza del Marcio è un album che mi ha dato tanto perché io ho dato tanto a questo album. È un disco che parla del togliersi la maschera, togliersi i cliché, i luoghi comuni e buttarsi. Fregarsene di quello che pensa la gente. Oggi da parte della società c’è questo bisogno di approvazione. Se vai al ristorante, non puoi mangiare un piatto senza aver messo prima la foto su Facebook e aver ottenuto qualche like, sennò sembra che tu stia mangiando la cosa sbagliata. Serve tanta approvazione in generale. O meglio. La gente crede che serva. Io dico di no. Questo è il significato del disco. Bisogna mostrarsi per come si è veramente. Con le proprie paure e i propri difetti.

Secondo te è facile?
Non è facile, ma penso che le cose migliori nascano quando si esce dalla propria zona di comfort. La mia zona di comfort era il cliché del rap, del rapper, i luoghi comuni dietro i quali molti colleghi si piazzano. Ho cercato di uscire da questo contesto per cercare qualcosa di nuovo. Qualcosa che non si sente in giro.

Ti sei definito “diversamente rapper”…
È un’affermazione provocatoria, perché in Italia se sei un rapper sembra come se andassi sempre a dormire con il cappellino di lato, con il pigiama con i pantaloni larghi. Voglio dire: ‘Io mi esprimo tramite il rap, però ci sono delle cose che vengono espresse nelle canzoni, c’è della musica suonata nel disco. Non classificate questo album come classico album rap, perché c’è molto altro dietro. Dovreste avere un po’ di curiosità e un po’ di voglia di ascoltare’.

Questa definizione però è stata utilizzata da molti…
Sì, ma alla fine è davvero così per tutti? È una formula per dire che c’è di più dietro.

L’album è stato registrato in diverse città: quanto ti hanno influenzato con le loro sonorità?
Più che il nome della città che fa molto esotico, sono i musicisti che sono andato a trovare che il caso vuole fossero in città molto belle da vedere, quindi sono stato costretto (sorride, ndr) ad andare a Los Angeles a passare un po’ di tempo in studio! Quello che volevo andare a prendere era la musica suonata dal vivo. Quello che serviva al disco era la musica live, che non sento nei dischi rap oggi. Volevamo avere a che fare con dei musicisti che potessero portare dei groove di un certo tipo.

Invece le collaborazioni come sono nate?
Il bello è che ho un rapporto con tutti gli artisti che sono nel disco. Non c’è stata la ricerca del featuring per avere il credito nell’album, della collaborazione fine a se stessa. C’è stata la ricerca della persona dietro il featuring. Sono molto fortunato ad avere un certo tipo di rapporto con questi artisti che stimo molto e da lì è nato tutto. Durante delle sessioni in studio abbiamo ascoltato la musica, abbiamo fatto delle jam session tra rapper e sono nati i pezzi.

Come vedi il futuro dell’hip hop?
Non lo so come sarà. Penso che la scena si stia spostando in un mondo di protagonismo, di apparenza e spesso poca sostanza. Nel 2012-2013 si è comprato davvero tutto quello che fosse legato al mondo rap, tanto che oggi va quasi più di moda il rap piuttosto che il rapper. È il genere che va di moda e non quello che viene detto nelle canzoni. Io sto cercando di riportare l’attenzione su quello che dico nelle canzoni. Penso che un po’ più di onestà in generale, senza riproporre per forza in Italia delle formule che hanno funzionato all’estero, potrebbe essere una bella direzione da prendere.

E per quanto riguarda il tour cosa ci dobbiamo aspettare? Con te ci sarà una band…
Il disco è suonato e per questo motivo non sarebbe rappresentato bene se non ci fossero dei musicisti durante i live. Ci saranno delle parti grafiche dal vivo per la scenografia, quindi sarà un po’ un film!