Robbie Robertson, è morto il musicista preferito di Martin Scorsese

Autore estremamente duttile, protagonista di una scena pop di grande cultura, Robbie Robertson è scomparso ieri sera: aveva 80 anni

La notizia della scomparsa di Robbie Robertson si è diffusa nella tarda serata di ieri come un fulmine a ciel sereno.

Si sapeva che il musicista non stava bene da tempo. Ma non appena la famiglia ha confermato la notizia il web si è affollato di messaggi di grande cordoglio per un musicista che in Italia ha avuto solo sprazzi di popolarità nei suoi momenti più pop ma la cui opera si dipana lungo cinquant’anni, in tre-quattro continenti e numerosi progetti diversi.

Robbie Robertson, da The Band in poi

Robertson aveva 80 anni. Tra i primi a partecipare con cordoglio alla sua scomparsa Martin Scorsese, regista del film documentario The Last Waltz, atto di chiusura della The Band, il suo primo progetto di grande successo di Robertson. E ancora Ringo Starr, Joni Mitchell, Neil Diamond e molti altri musicisti di fama mondiale.

A dare l’annuncio è proprio l’account ufficiale di The Band attraverso i social media che citava come fonte primaria la famiglia del musicista: “Robbie ci ha lasciato. Era circondato dalla sua famiglia al momento della sua morte, tra cui sua moglie, Janet, la sua ex moglie, Dominique, il suo compagno Nicholas, e i suoi figli Alexandra, Sebastian, Delphine e il partner di Delphine, Kenny”.

Una immagine di Robertson, dal vivo, nel suo repertorio solisa
Una immagine di Robertson, dal vivo, nel suo repertorio solista – Credits Robbie Robertson Official Press (VelvetMusic.it)

Robbie Robertson lascia i suoi nipoti Angelica, Donovan, Dominic, Gabriel e Seraphina.
La famiglia di Robertson ha chiesto di fare donazioni alle Six Nations of the Grand River, la più grande comunità di Nativi americani. Le donazioni serviranno invece a sostenere i centro culturale Woodland che avviano alla musica giovani con difficoltà psichiche ed emotive.

Un chitarrista dallo stile inimitabile

The Band è stato il grande progetto giovanile di Robbie Robertson che aveva incontrato Ronnie Hawkins, Levon Helm, Rick Danko, Richard Manuel e Garth Hudson quando il gruppo era ancora adolescente. La band inizialmente si chiama The Hawks. Poi, quando Hawkins la scioglie cambiano nome. E il gruppetto di ragazzini ha immediatamente un ingaggio importante e viene reclutato come band di supporto di Bob Dylan nel suo storico passaggio dalla chitarra acustica a quella elettrica.

Il loro album debutto Music from Big Pink è del 1968 e si impone immediatamente alla grande attenzione generale offrendo sette album di straordinaria efficacia in poco meno di dieci anni e numerosi successi importanti come The Weight, The Night They Drove Old Dixie Down, Up on Cripple Creek e ‘It Makes No Difference fino al loro spettacolo d’addio del 1976 registrato integralmente in The Last Waltz, il primo vero documentario musicale, un classico destinato a lasciare il segno.

La sua carriera solista

Robertson avrebbe continuato a lavorare con i suoi ex membri della band in altri progetti collaterali, pubblicando anche materiale da solista per tutto il resto della sua carriera. Incideva raramente e poco. I suoi album in studio in circa trent’anni Ho soltanto 5, ma sono tutti autentici capolavori, a cominciare dal primo che lo vede collaborare anche con gli U2 che all’epoca erano all’apice della loro svolta pop-rock.

Martin Scorsese, a sinistra, con Robertson, un sodalizio artistico per oltre 50 anni
Martin Scorsese, a sinistra, con Robertson, un sodalizio artistico per oltre 50 anni – Credits Robbie Robertson Official Press (VelvetMusic.it)

Robertson pubblica il suo debutto con l’album che porta il suo nome nel 1986. Il mondo si stava aprendo alla world music e lui, forse anche più di Paul Simon, diede un contributo in questo senso davvero fondamentale. Canadese di nascita, con sangue nativo orgogliosamente nelle vene, Robertson iniziò a registrare prima di chiunque altro brani atipici, molto vicini al folk collaborando con musicisti e band acustiche semisconosciute imponendole all’attenzione generale e portandole al grande successo. Il suo stile di produzione ebbe un’influenza fondamentale per tanti artisti che in quel momento, proprio come lui, si avvicinarono a questo genere che inizialmente non era ancora etichettato e che veniva ritenuto poco commerciale.

La nuova frontiera

“Mi piace il fatto che qualcuno l’abbia definita la nuova frontiera – dichiarò nel 1991 durante la promozione del suo secondo album Storyvilleperché in effetti lo è. Io stesso mi sono ritrovato a giocare in sala di incisione con strumenti che non conoscevo e che mi sono fatti insegnare, un po’ come fanno i bambini nella sala musicale della loro scuola elementare. Credo che in questo il nostro pensiero abbia perso molto nel momento in cui abbiamo cominciato a suonare solo ed esclusivamente per fare soldi, per produrre successo. Ci siamo tutti intestarditi su una strada che era troppo certa quando invece forse dobbiamo ancora andare alla ricerca di nuove frontiere…”

Una curiosità quella di Robertson che influenzò fortemente molti album importanti a cominciare da quelli di Tom Petty and the Heartbreakers, Ringo Starr e  Neil Diamond con cui collaboro a lungo. E che si tradusse in numerosi album solisti l’ultimo dei quali Sinematic è datato 2019.

Robertson e Ringo Starr suonano una meravigliosa versione di The Weight in un concerto di Playing for Changes

 

Dopo The Last Waltz, Robertson ha mantenuto un rapporto creativo molto proficuo con Martin Scorsese, che ha anche prodotto il documentario Once Were Brothers del 2019 basato sui ricordi di Robertson e sulle sue nuove influenze.
Robertson incise colonne sonore di diversi film di Martin Scorsese, successi immortali tra i quali Toro scatenato, Casinò, The Wolf di Wall Street. La sua ultima collaborazione con Scorsese arriverà sotto forma di colonna sonora per Killers of the Flower Moon, che uscirà alla fine di quest’anno.

L’ultimo saluto di Martin Scorsese

Scorsese ha parlato di Robertson in una sua recente dichiarazione a Pitchfork: “Robbie Robertson era uno dei miei amici più cari, una costante nella mia vita e nel mio lavoro. Potrei sempre rivolgermi a lui come confidente. Un collaboratore. Un consigliere. Ho cercato di essere lo stesso per lui. Eravamo in sintonia sempre e praticamente su qualsiasi cosa. Forse perché molto prima che ci incontrassimo, la sua musica ha avuto un ruolo centrale nella mia vita, per me come per milioni e milioni di altre persone in tutto il mondo”.

Scorsese lo volle alla direzione musicale di tutti i suoi film più importanti: “La musica di The Band, e la successiva musica da solista di Robbie, sembrava provenire dal luogo più profondo nel cuore di questo continente, dalle sue tradizioni, tragedie e gioie. Inutile dire che era un gigante, che il suo effetto sulla forma d’arte fu profondo e duraturo. Non c’è mai abbastanza tempo da trascorrere con qualcuno che ami. E io, personalmente, ho adorato Robbie”.

Suonò anche a Sanremo

A parte una minima popolarità radiofonica e qualche video più pubblicato degli altri, il pubblico italiano di massa lo applaudirà in una sola grande occasione, il Festival di Sanremo del 1998 quando sul palco dei fiori nella prima serata eseguirù una delle sue canzoni più belle, Unbound.

L’ultima dedica è di Bruce Springsteen che suona You’ll be in my Dreams per Robertson a Chicago

Neil Diamond ha scritto su Twitter: “Il mondo della musica ha perso una grande occasione con la morte di Robbie Robertson. Continua a fare quel bel rumore nel cielo, Robbie. Mi mancherai.”

Il team di Joni Mitchell scrive: “Riposa in pace Robbie Robertson, leggendario chitarrista solista di The Band, collega canadese e amato collaboratore di Joni. Possano la sua eredità e la sua armonia musicale risuonare per le generazioni a venire”.